Cristina Corbò

Memoria liquida

Da sempre l’uomo resta incantato di fronte all’imponente tramaglio di colori di cui si compongono le vetrate delle chiese gotiche, create come un sottile ponte tra il mondo divino e quello dell’uomo. Attraverso quelle lastre di vetro si pensava dovesse entrare la luce di Dio che, come il primo soffio vitale, si infiltrava dentro un’architettura acerba e tutta umana per infondere spirito alla semplice pietra. Le rifrazioni cromatiche che si proiettavano sugli interni vestivano tutte le pareti, i pavimenti e i fedeli di storie di santi, di racconti biblici suscitando profonda meraviglia e stupore. L’arte era così messa al servizio della comunità nel delicato compito di elevazione spirituale e raccoglimento.

 

Anche nel panorama contemporaneo sono stati molteplici i casi di artisti che hanno usato questa tecnica, da Marc Mulders a Gerard Richter e Joseph Mikl. Ispirandosi a loro Federica Scoppa oggi, con una suggestiva installazione, propone la sua versione delle vetrate, ma stavolta a passare attraverso le sottili lastre è una luce diversa, intima e personale: la sua. Lei condensa e poi salda in eterno in pillole di vetro paesaggi provenienti da visioni interiori ed esteriori, liberando il colore dalla legatura e allontanandosi da alcun tipo di iconografia. Coglie solo la sostanza.

 

Come il sangue nelle vene, come la linfa degli alberi, come l’acqua degli oceani, così i suoi vetri fissano percezioni allo stato liquido, quasi a sottolineare l’impossibilità dell’essere umano di poter cogliere e raccontare, anche se solo in un frammento, un’esperienza in modo del tutto assoluto. La memoria vive e si muove all’interno della mente, come un costante flusso di colori e flash. Ed è proprio questa sensazione di fluidità a portare l’osservatore a percepirsi navigatore, alla scoperta delle molteplici possibilità interpretative che questa tecnica offre.

 

Rifacendosi ai principi dell’arte astratta di libertà ed essenzialità, la pittrice si inoltra nella pura espressione allontanandosi da un vero e proprio intento raffigurativo. Si possono riconoscere fronde, lampi, gambi di fiori, fili e spermatozoi. Ma tutto dipende dall’occhio di chi guarda. La bellezza di queste delicatissime composizioni risiede infatti nella necessaria presenza dello spettatore. L’opera vibra e risuona allo sguardo individuale di chi la intercetta, a sottolineare l’importanza di un’arte che dialoghi, che parli con il mondo e che si faccia sempre più occasione di raccoglimento, specchio ed elevazione.

 

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