Conversazione con quattro artiste donne: riscrivere una storia dell’arte con più nomi femminili?

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di Francesca Della Ventura , scritto il 02/10/2020, 21:23:37

Quali sono le difficoltà che incontra una donna che vuole fare carriera nell’arte? Cosa si potrebbe fare per migliorare la situazione? Ne parliamo con quattro artiste.
Fateci caso: difficilmente durante un colloquio di lavoro verrà chiesto ad un uomo se ha intenzione di avere figli o, generalmente, gli verranno rivolte domande sulla sua vita personale. Si tratta, invece, di un qualcosa che diventa molto possibile se protagonista di questo colloquio fosse una donna. Sono stati spesi fiumi di inchiostro sul tema delle pari opportunità e dell’indipendenza economica della donna, ma di fatto, nel 2020, questa tanto agognata parità è ancora un’utopia e sicuramente resterà così ancora per molto tempo. Diversità di guadagni, di trattamento, di numeri nei posti di lavoro importanti e meno importanti, e questo un po’ in tutti i settori. Senza dimenticarci che le donne sono spesso costrette a scendere a compressi, mentre gli uomini non sanno neanche cosa significa la parola “compromesso”, o se la conoscono faticosamente sono disposti ad accettarla.
Il settore artistico e il sistema dell’arte contemporanea non sono da meno, anzi sono uno specchio crudo e nudo di questa consolidata realtà. E se già fare l’artista oggi non viene considerato un lavoro a tutti gli effetti, quando a ricoprire questo ruolo è la donna la parola “artista” viene completamente sostituita con quella di “hobbista” o “nullafacente”. Se nella storia dell’arte italiana e internazionale i nomi femminili che si ricordano sono pochissimi perché in passato alle donne non era concesso dedicarsi all’arte o erano per lo più le compagne meno famose di ben più conosciuti artisti (si ricordano Artemisia Gentileschi, Rosalba Carriera, Frida Kahlo… e qualche altro nome che è possibile contare sulle dita della mano), nell’arte contemporanea i numeri delle donne che si sono o si dedicano all’arte sono in aumento, ma non abbastanza, e le donne continuano ad essere valutate sul mercato sempre meno rispetto agli uomini. Per le donne che hanno intrapreso o intraprendono la strada di gallerista, curatrice, giornalista d’arte, critica, il discorso resta più o meno identico: pochi nomi e raramente si trovano ai vertici. La prima Biennale d’arte di Venezia curata da una donna è stata nel 2005 (a centodieci anni dalla fondazione), quando la direzione artistica venne affidata ad un duo di donne, Maria de Corral e Rosa Martinez. Da allora ci sono state altre due edizioni interamente curate da donne: quella del 2011, con Bice Curiger, e quella del 2017, con Christine Macel.
Abbiamo dunque parlato di cosa significhi essere artiste donne nella società di oggi e del loro ruolo all’interno del sistema e del mercato contemporaneo con quattro artiste che lavorano sulla scena europea, da Chieti a Parigi, passando per Venezia e Colonia. Il risultato è un’intervista a quattro di enorme interesse che qui vogliamo in parte riportare.
Francesca Maria D’Antonio, giovanissima costumista e scenografa, specializzata nel costume storico presso l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila con all’attivo già diverse collaborazioni in giro per l’Italia come costumista, scenografa e truccatrice teatrale. si trova molto spesso ad utilizzare strumenti (martello, seghetto, avvitatore…) che sono per lo più impiegati da mani maschili. Questo la rende ovviamente fiera di sé stessa, ma ammette anche la difficoltà, proprio per il suo essere donna, di conquistare la fiducia dei suoi colleghi uomini.
“Un datore di lavoro o dei colleghi hanno difficoltà nel vedere una donna che ha più potenziale di un uomo in un ambito, magari in quello della costruzione che è prettamente maschile”, racconta. “Sei donna e quindi non puoi sapere usare il seghetto alternativo. Sei donna e allora non puoi usare bene l’avvitatore. Sei donna e secondo gli altri hai sempre bisogno di una mano”. E ancora: “Ti considerano sempre inferiore per alcune cose o troppo superiore e quindi dài fastidio, o peggio ancora sei un elemento da disturbare durante le ore di lavoro”.
È difficile da scardinare il concetto di “forza” per chi fa arte, come afferma Raghad, scultrice nata a Baghdad ma residente a Parigi, che con la forza dei suoi cavalli scolpiti è riuscita a donare con la grazia, eleganza e vivacità a forme appartenenti all’immaginario maschile, come i cavalli in movimento. “La società ancora oggi sente che ‘l’artista uomo è più forte dell’artista donna’”, dice l’artista. “E questo non è assolutamente giusto. Ecco perché la donna artista ha bisogno sempre e ovunque sulla terra di fare il doppio di tutto dell’artista uomo per esistere nella società, ma finora non può esistere facilmente!”.